Da quasi 100 anni la cucina del «Milchchuchi» di Erstfeld rimane aperta 24 ore su 24 per il personale delle FFS e per altri clienti. Questo luogo, del resto, è molto più di una semplice mensa.
Un ristorante può far sentire i propri ospiti come a casa propria? Manuela Lüönd risponde riflessiva: «Sì, secondo me noi lo facciamo già. O, quanto meno, ci andiamo vicini.» «Casa» è dove ci sentiamo a nostro agio, al sicuro. È dove la porta è sempre aperta e dove ci attende sempre un piatto caldo sul tavolo. Come qui al «Milchchuchi», un ristorante ubicato nel centro di Erstfeld aperto dal lunedì alle 5.00 alla domenica alle 14.00 con orario continuato dove la cucina è sempre aperta e dove il caffè costa solo CHF 2,80, inclusi un’allegra risata e un amichevole «tu»! Come a casa, per l’appunto. Qui si può stare seduti quanto si vuole: nessuno viene buttato fuori.
Il locale è luminoso ed è caratterizzato da tanto legno, colori caldi e una mobilia semplice. Dalla cucina aperta risuonano sonore e felici risate e l’atmosfera è gradevole. Da quattro anni gestisce il locale Manuela Lüönd, una giovane donna solare. Spiega: «Praticamente abbiamo sempre qualche cliente, persino di notte alle 3 o alle 4. Non si può dire che ci annoiamo.» Il «Milchchuchi» è frequentato soprattutto dai collaboratori delle FFS: elettricisti, costruttori di binari, addetti alla difesa dell’impresa, macchinisti. Manuela Lüönd tira un sospiro: «Purtroppo troppi pochi clienti esterni alle FFS. Eppure siamo aperti a tutti: chiunque può mangiare qui. Ma nella testa della gente rimaniamo la mensa delle FFS.» Continua scuotendo il capo: «E pensare che i prezzi sono bassi.» Niente di più vero: sminuzzato di fegato di maiale a CHF 10,50, un piatto di pasta con insalata a CHF 11,90, menu del giorno (oggi ossobuco con verdure stufate, patate e insalata) a CHF 13,50. E i dipendenti delle FFS pagano ancora meno. D’altronde il «Milchchuchi», ormai da quasi 100 anni, è pur sempre una mensa.
Un piccolo villaggio FFS
Molti clienti, tuttavia, non vengono volentieri solo per i prezzi e per la cucina aperta 24 ore su 24. «Casa» è anche un luogo di condivisione e intimità. Qui quasi tutti si conoscono per nome, qui si incontrano persone di generazioni diverse. «A differenza di altri ristoranti, il nostro ha un clima molto più familiare. Proprio come un piccolo villaggio FFS. Tutti hanno argomenti in comune e fanno in fretta a darsi del tu. La mia clientela è composta da persone del posto molto semplici», spiega la gerente. «Al mattino vengono sempre i pensionati delle FFS e allora si parla solo di ferrovia, del passato e del futuro.»
A poter raccontare del passato è anche Karin Roner che lavora in cucina da 24 anni. «Anni fa c’era molto più lavoro, tant’è vero che già al mattino eravamo in quattro in cucina. Poi l’affluenza è via via diminuita nel tempo.» Lunghi anni, lunghi orari di apertura: di certo non mancheranno le cose da raccontare! Karin Roner ride di gusto. «Una volta c’era qualche senzatetto. Chissà da dove venivano. Hanno persino lavato i calzini qui da noi!» Poi riflette un po’ e scuote il capo: «Ma, pur con tutta la buona volontà del mondo, non ho altro da raccontare. Noi non teniamo alcolici e gli aneddoti più divertenti rimangono fuori.»
Scoppia di nuovo a ridere al ricordo di un senzatetto che non voleva più uscire dal bagno dove si era rinchiuso con il suo cane pieno di pulci: avevano dovuto chiamare la polizia. E poi seguono a ruota altri aneddoti di tipi strani che il «Milchchuchi» accoglie a braccia aperte come in una vera famiglia. Come quel pensionato che, per ore e ore, legge ad alta voce il giornale agli altri clienti. «Di tipi originali così ce n’è qualcuno. Da noi non si deve temere di mostrarsi così come si è. D’altra parte, abbiamo tutti qualche stranezza», afferma ridendo Karin Roner. Prosegue quindi con i ricordi: «Una volta ogni tavolo aveva il suo significato in base alla provenienza dei clienti. Lì c’era il tavolo del Ticino, qui il tavolo di Basilea e laggiù il tavolo dei capi.» Per «capi» intende i «capi stazione». «C’era una rigida separazione e guai a chi si sedeva al posto sbagliato.»
Il «Milchchuchi» rimane
Oggi, invece, non esistono più le gerarchie. Sono cambiate tante cose da allora. Fino al 2005 il «Milchchuchi» era un locale buio e grezzo. «Per niente invitante. Molto vecchio. Troppo vecchio», ripete Manuela Lüönd storcendo il viso. Poi è stato ristrutturato e ammodernato. Il vecchio quadro di comando elettrico su cui i macchinisti potevano vedere in ogni momento la posizione dei treni ha lasciato il posto a un terminale di computer. E i progressi non si fermano qui, tranne che per il nome. Anche se all’ingresso brilla la moderna insegna «Chez SBB», per i clienti il «Milchchuchi» rimane sempre il «Milchchuchi». «Abbiamo già tentato di cambiar nome un paio di volte», racconta Karin Roner. «Ma niente da fare: non c’è verso.» Talvolta le moderne strategie di marketing non sembrano andare di pari passo con la gente. Comunque «Milchchuchi» non è male come nome. A dir la verità di «Ristoranti per il personale» o «Da Pinco Pallino» ce ne sono già abbastanza.
Manuela Lüönd non ha idea di che cosa cambierà con l’apertura della galleria di base del San Gottardo. Tra due anni il ristorante si troverà dopo la galleria e non più prima. In ogni caso rimane ottimista e si rimbocca già le maniche. «In futuro potrebbero esserci più richieste di catering, più visitatori sulla NFTA e più corse speciali sulla vecchia tratta del San Gottardo. Certamente rimarremo aperti la mattina e a mezzogiorno. Ma non sono sicura che avremo ancora da fare nel pomeriggio e soprattutto di notte.»
E Karin Roner, in base alla sua esperienza, aggiunge con un sorriso: «Negli ultimi 24 anni ho già sentito dire tante volte che dovevamo chiudere nel giro di poco tempo. Ma come si dice qui da noi, chi viene dichiarato morto vive più a lungo!» Non ci si fa portar via la propria casa così velocemente.